La pandemia che sta affliggendo il nostro pianeta è un’esperienza nuova per tutti e tutte. Un’esperienza anomala che ha trasformato la nostra quotidianità e ci obbligherà a chiederci come vogliamo riprendere la nostra normalità, sempre se saremo stati abbastanza fortunati. Al netto dell’altalena spettacolarizzante dei media tradizionali che titolano oggi <<ALLARME GLOBALE>> e domani <<tranquilli ce la faremo>>, due elementi sembrano in crisi:
1 – la tendenza geneticamente innata dell’uomo di incontrarsi, avere relazioni fisiche, fare comunità
2 – il sistema economico capitalista dominante, che al momento non sembra aver trovato le contromisure al virus (cosa che invece fece nel corso della crisi del 2007). Al momento, tutte le manifestazioni del capitalismo (industrializzazione, finanza, globalizzazione, turistificazione) stanno mostrando evidenti segnali di inadeguatezza all’attuale momento storico.
Oggi le principali manifestazioni del capitale come la massificazione della produzione industriale, del turismo e la polarizzazione della ricchezza stanno mostrando le loro contraddizioni. A Firenze sono proprio i segnali di recessione dell’industria del turismo che spaventano immobiliaristi e investitori, mentre i cittadini sono sempre più spaventati dalle condizioni inumane del lavoro – dove lo stato si conferma sempre più chiaramente come difensore dei padroni – e dalla totale assenza dei diritti basilari che emergono con violenza dalla cronaca odierna.
Dopo decenni di martellanti messaggi massmediatici ci avevano quasi convinti che il turismo sarebbe stato il solo volano dell’economia toscana. La pesante promozione delle mete turistiche, la deregolamentazione edilizia, il proliferare delle piattaforme per affitti brevi – che promettevano di redistribuirne i profitti mentre, di fatto, scaricavano sui piccoli proprietari i costi d’attivazione di un’economia infestante – e i forti investimenti attuati da regione e comuni nella progettazione di inceneritori ed aeroporti hanno determinato un tasso di crescita del flusso turistico del 54,2% dal 2010 al 2018.
È stato così che interi quartieri di Firenze si sono svuotati – adesso il centro storico ospita solamente 66.206 residenti – delle attività che storicamente li riempivano, sostituendo i servizi di vicinato con bistrò, storiche botteghe e antiche pelletterie; i prezzi dell’affitto dei negozi sono saliti anno dopo anno, raggiungendo standard “vacanzieri” perfino nei piccoli supermercati di zona. Quindi, mentre si allontanavano ospedali e università ed in quegli immobili si realizzavano musei ed infopoint, in città si raggiungeva la media di 17 strutture ricettive (ufficiali) e ben 217 esercizi di ristorazione per km2.
Le famiglie che vivevano in affitto sono state cacciate per fare spazio ai turisti, mentre quelle che vivevano in case di proprietà, vedendosi private di tutto il tessuto che le legava al rione, hanno preferito trasferirsi in periferia o in qualche borgo più tranquillo, affidando la gestione dell’immobile ad una qualche agenzia immobiliare che l’avrebbe trasformato in un Airbnb, portando Firenze al triste record di città con la più alta concentrazione di annunci nel centro storico – il 18% degli immobili totali, nonché il 70% di quelli offerti in locazione.
Forte anche dello strumento amministrativo della Città Metropolitana, il governo locale ha messo in opera una pesante zonizzazione della città trasformando luoghi dotati di identità e carattere unici in zone omogenee ed indifferenti ai bisogni del cittadino. La definizione delle aree destinate al divertimento, alla produzione e al consumo, ha relegato gli abitanti nelle periferie, al di fuori dei circuiti più profittevoli per i capitali internazionali e sempre più lontane dal centro cittadino.
Il centro storico, in particolare, è il luogo dove questo modello si è espresso nel modo più completo ed evidente. Qui i capitali finanziari in cerca di investimenti anticiclici si accaparrano la gestione dei flussi turistici e trasformano le strade e le piazze della città antica in un enorme albergo diffuso o parco a tema, in cui i visitatori si trasformano in clienti/spettatori e i cittadini in dipendenti/comparse.
La monocultura di alberghi, ristoranti, locali e monumenti museificati, con tutto il carico di inquinamento acustico, ambientale e visivo che si portano dietro, va inquadrato in un approccio estrattivista alla gestione della città, per il quale, in vista di mirabili guadagni, il territorio e chi lo abita subiscono danni ingenti. Per essere chiari, il modello introdotto ricalca la gestione di una miniera o un pozzo petrolifero, in cui l’ambiente viene deturpato ed i lavoratori sfruttati ed umiliati.
Si pensi semplicemente al lavoro portato dal turismo grazie al quale intere fasce di popolazione, in prevalenza migranti e giovani, sono impiegate in mansioni di scarso interesse culturale ed ambientale e messi al servizio dei loro aguzzini: pensiamo a uomini e donne, camerieri, lavapiatti e collaboratori domestici che lavorano, come dicono i fiorentini, al grigio, sebbene spesso sia il nero il colore prevalente.
Ebbene, in questo ecosistema estremamente specializzato, è stato sufficiente un microscopico virus per innescare una profonda crisi, che già a gennaio ha inferto duri colpi all’economia cittadina – si consideri che solo il turismo proveniente dalla Cina frutta ogni mese 3,5 milioni di euro.
Adesso con il precipitare degli arrivi sotto lo zero (i bus turistici sono calati da 267 a 5 al giorno) intere vie si ritrovano con le saracinesche abbassate e nessuno in strada. La stessa via Calzaiuoli, normalmente gremita da folle armate di selfie-stick e shopping bag, viene attraversata solo da palle di sterpi rotolanti in un mezzo giorno tutt’altro che infuocato.
I ristoratori, riuniti nel gruppo fb “Ristoratori Toscani” (più di 4000 membri), hanno ottenuto – a poche ore dalla loro richiesta – l’obbligo di chiudere le attività, ma continuano a non sapere se gli sarà garantita la cassa integrazione (costringendo quindi i lavoratori a esaurire le loro ferie in quarantena).
I pochi esercizi che possono permetterselo continuano a svolgere servizio di consegna a domicilio, incoraggiati dalle piattaforme del food delivery, ansiose di lucrare sulla pelle dei rider, costretti a continuare a lavorare senza che gli vengano forniti nemmeno i necessari Dispositivi di Protezione Individuale.
Gli alberghi registrano un calo di occupazione del 55%, rispetto alla media di riferimento per il periodo e molte strutture chiudono per minimizzare i danni, o meglio il disastro, visto che si parla di già di più di 120 milioni persi nel settore.
Viene quindi da chiedersi se la “classe politica e dirigente” stia prendendo atto della debolezza di un sistema che si regge unicamente su un pilastro e stia mettendo in dubbio l’impianto dell’economia fiorentina e toscana.
Nonostante i colpi dei dazi di Trump, della Brexit, nonostante Luca Tonini (presidente Cna città di Firenze e presidente nazionale Cna Turismo e Commercio) paventi “una nuova grande crisi economico-finanziaria” del sistema toscano causata dal coronavirus, i politici continuano a procedere col paraocchi.
Dopo le ridicole iniziative della Regione Toscana per promuovere il turismo con una guida al virus e la penosa manifestazione delle guide turistiche davanti a Palazzo Vecchio nei primi giorni del contagio; nel convegno del 2 marzo promosso da Regione Toscana, Anci e Toscana Promozione emergono chiaramente gli interessi che ci governano: sotto l’hashtag #TuscanyTogheter si riuniscono i Comuni toscani per elaborare una strategia di rilancio dell’economia turistica, una cabina di regia a cui partecipano anche i privati del settore, secondo il principio di governance territoriale ormai intrinseco all’amministrazione pubblica.
“Ripeto, dare continuità a questo percorso, con politiche regionali e locali coerenti, e con risorse strutturali diventa un passaggio decisivo. Il turismo rappresenta per la Toscana il vero modo per redistribuire la ricchezza, per ridare fiato a tante realtà.” tuona l’assessore regionale al turismo Stefano Ciuoffo.
Al momento non sono previsti cambi di rotta.
Come al solito, deve spettare alla base, ai cittadini e cittadine che sono i più colpiti da questa situazione, lanciare un messaggio forte in senso diametralmente opposto. Così gli abitanti dei quartieri si adoperano per sostenere le persone che in questo momento si trovano in maggiore difficoltà. Proprio le reti sociali minate dalla gestione privatistica, quelle che non si reggono su interessi economici, ma sulla solidarietà umana, sono quelle che si riattivano per non lasciare indietro nessuno. Nascono chat in cui ci si organizza per consegnare la spesa agli anziani, vengono cucite mascherine artigianali per i senza fissa dimora e si organizzano scioperi per dare voce agli operai costretti a continuare la produzione.
Comunque la si rigiri, il COVID-19 è l’ennesimo campanello d’allarme che il nostro pianeta lancia per far capire – più e meglio di Greta – che i giorni dell’estrattivismo ambientale ed economico sfrenato devono finire.
La pandemia che siamo vivendo è una conseguenza delle politiche che sono state messe in atto fino ad ora a livello globale: non possiamo e non dobbiamo ripartire per la stessa strada.
E’ invece necessario iniziare un ripensamento profondo di tutta l’organizzazione socio-politico-economica, che vada verso una totale conversione ecologica e sociale della nostra società.
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