Il sistema sanitario pubblico: un corpo già malato

Il quadro ci viene presentato come emergenziale e dovuto a un’eccezionale pandemia.

Sicuramente la situazione è eccezionale, ma insiste su un corpo già provato da decenni di maltrattamenti e scelte che ne hanno ridotto la capacita’ di resistere. Come ben sappiamo, un’influenza contratta da un corpo sano non ha gli stessi effetti che su un corpo già malato ed indebolito. E il nostro Sistema Sanitario pubblico, sano non lo era di certo. Da giorni si parla infatti, nel caso in cui i contagi non vengano fermati, di collasso del SSN (Sistema Sanitario Nazionale): non ci sono medici ed infermieri sufficienti per fronteggiare l’emergenza, non sono abbastanza i posti letto e le attrezzature in reparti come la terapia intensiva, mancano sufficienti scorte di dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e non che quotidianamente attraversa le strutture sanitarie.

Ma cosa è successo in questi anni per indebolire il nostro Sistema Sanitario al punto da portarlo a rischio collasso? 

Per scoprirlo dobbiamo tornare al 1978, anno che rappresenta una sorta di spartiacque della storia (non solo in campo sanitario), dividendo un «prima», nel quale si registrava l’espansione del welfare universalistico – tratto comune dei governi liberaldemocratici e socialdemocratici europei – affermando il principio secondo cui alcuni servizi fondamentali, come l’istruzione e la sanità, dovessero essere sottratti ai meccanismi di mercato e quindi essere garantiti dallo Stato, e un «dopo».

Il «dopo» prende le mosse agli inizi degli anni ottanta, con l’elezione di alcuni leader ultra-conservatori – Margaret Thatcher in Gran Bretagna (1979) e Ronald Reagan negli Stati Uniti (1980) – e con l’affermarsi del neoliberismo. Le politiche neoliberiste si applicano anche alla sanità, che diventa terreno di conquista del mercato a livello globale, come si legge in un articolo di The Lancet del 2001: “Negli ultimi due decenni la spinta verso riforme dei sistemi sanitari basate sul mercato si è diffusa in tutto il mondo, da Nord verso Sud, dall’Occidente all’Oriente. Il «modello globale» di sistema sanitario è stato sostenuto dalla Banca mondiale per promuovere la privatizzazione dei servizi e aumentare il finanziamento privato attraverso il pagamento diretto delle prestazioni. […] Questi tentativi di minare alla base i servizi pubblici, da una parte, rappresentano una chiara minaccia all’equità nei paesi con solidi sistemi di welfare in Europa e in Canada, dall’altra costituiscono un pericolo imminente per i fragili sistemi dei paesi con medio e basso reddito

Troppi erano, già allora, gli indizi per non capire quale era la direzione che si voleva far prendere alla sanità italiana: quella del privato e delle assicurazioni. Del resto il messaggio contenuto nella lettera di Trichet e Draghi indirizzata al governo italiano nell’agosto 2011 era inequivocabile: riforme radicali per privatizzare su larga scala servizi e professioni. Quando l’assessore alla sanità della Toscana, senza ombra di rammarico o scusa, afferma “Già oggi tanti si rivolgono a Misericordie e Pubbliche Assistenze per visite e esami (a pagamento ndr) visto che il pubblico espelle dal suo circuito un numero enorme di persone non garantendo la tempestività delle prestazioni”, (La Repubblica, 3 ottobre 2015), il governatore Rossi può dirsi pienamente soddisfatto: missione compiuta. Sono stati adottati provvedimenti che hanno spinto le persone a rivolgersi ai servizi a pagamento anziché ai servizi pubblici, producendo così diseguaglianze, sfiducia, malumore, rabbia.

Negli ultimi 10 anni sono stati soppressi 70 mila posti letto, 759 reparti ospedalieri e molti piccoli ospedali sono stati chiusi (dati Cergas, università Bocconi di Milano). Nello stesso lasso di tempo si registra un taglio di fondi pari a 37 miliardi di euro. In italia ci sono 3.2 posti letto per mille abitanti, contro gli 8 della Germania ed i 6 della Francia. Per la Sanità Pubblica spendiamo 119 miliardi l’anno, il 20% in meno della Francia e il 45% in meno del Regno Unito. Mentre scendeva la spesa pubblica, aumentava quella dei cittadini, che nel 2009 coprivano il 21% del totale e nel 2017 arrivavano a quasi un quarto, il 23,5%: il 46% in più rispetto alla media europea del 16%.

Quasi dovunque le assunzioni sono bloccate di fronte ad una mancanza di circa 56.000 medici e 50.000 infermieri, riportata dalle Regioni. Dal 2009 al 2017 il Ssn ha perso oltre 46 mila unità di personale dipendente (- 6,7%). La riduzione ha interessato i medici (meno 8 mila unità), la cui età media è oggi tale da far prevedere un collocamento in pensione di 2 medici specialistici e 9 medici di famiglia al giorno nei prossimi anni, con ridotte possibilità di ricambio per carenza di laureati e, in particolare, di specializzati. A questo depauperamento ha contribuito non poco l’introduzione del numero chiuso nelle Università e nelle scuole di specializzazione. La contrazione del personale ha riguardato anche gli infermieri (meno 13 mila unità), nonostante la loro presenza sia già molto inferiore al resto d’Europa, in rapporto alla popolazione (5,6 infermieri ogni 1000 abitanti, contro 12,9 della Germania e 10,2 della Francia) e rispetto ai medici (1,4 infermieri ogni medico, contro circa 3 di Francia e Germania). La mancanza di una seria politica del personale sta mettendo in ginocchio l’intero sistema sanitario.

Oggi quasi una famiglia su due rinuncia alle cure a causa delle lunghe liste di attesa nella sanità pubblica e dei costi proibitivi in quella privata. Nel 41,7% dei nuclei familiari, almeno una persona in un anno ha dovuto fare a meno di una prestazione sanitaria. I cittadini inoltre pagano di tasca propria oltre 500 euro procapite all’anno, mentre nell’ultimo anno al 32,6% degli italiani è capitato di pagare prestazioni sanitarie in nero”. (ricerca del Censis).

Le tappe legislative fondamentali che, con le successive riforme, seguono questo percorso pluridecennale sono quattro. La prima è la già citata legge 833, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e la creazione delle Unità Sanitarie Locali. Il secondo è il D.Lgs. n. 502/1992 che avvia la regionalizzazione della Sanità, istituisce le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere e, per rispondere alla crescente pressione finanziaria, introduce «una concezione di assistenza pubblica in cui la spesa sociale e sanitaria deve essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate e non può più rapportarsi unicamente alla entità dei bisogni». Il terzo passaggio è il Decreto Legislativo n. 229/1999 (anche noto come riforma Ter) che conferma e rafforza l’evoluzione in senso aziendale e regionalizzato e istituisce i fondi integrativi sanitari per le prestazioni che superano i livelli di assistenza garantiti dal SSN. Infine, con la riforma del Titolo V, Legge Costituzionale n. 3/2001, la tutela della salute diviene materia di legislazione concorrente Stato-Regioni: lo Stato determina i Livelli essenziali di assistenza (LEA); Le Regioni hanno competenza esclusiva nella regolamentazione e organizzazione dei servizi sanitari nel finanziamento delle Aziende Sanitarie.

Il Ssn non può essere ridotto a una fabbrica di prestazioni. Il Ssn deve tutelare e promuovere la salute delle persone e attrezzarsi per affrontare adeguatamente l’epidemia delle malattie croniche (e della sub-epidemia della multimorbosità). “Nonostante si viva in un mondo dominato dalle patologie croniche, nei luoghi di cura si pratica una medicina quasi esclusivamente per acuti: all’alba del XXI secolo persistono i modelli del XIX secolo”, scrivono R. Rozzini e M. Trabucchi. È necessario per questo un profondo cambiamento.

Un cambio di paradigma basato sulla sanità d’iniziativa: prevenzione e lotta alle diseguaglianze socio-economiche (di malattie croniche si ammalano e ne muoiono molto di più le fasce più disagiate della popolazione), supporto all’auto-cura, presa in carico a lungo termine dei pazienti da parte di team multiprofessionali e multidisciplinari composti da medici di famiglia, infermieri e specialisti, continuità delle cure e più tempo dedicato alla relazione tra professionisti e pazienti, integrazione socio-sanitaria. Il cambio di paradigma richiede un forte rilancio delle cure primarie e dei servizi territoriali.

È il momento di pretendere un Sistema Sanitario che metta nuovamente al centro l’individuo e la salute pubblica, che non si occupi solo dell’acuto ma dello stato di salute inteso come fisico, psichico, sociale ed economico. È il momento per ridisegnare la nostra società in senso comunitario, solidale e mutualistico, dove la salute sia al centro delle scelte politiche per lo sviluppo economico, cosa che fin ora non è mai stata fatta preferendo portare avanti scelte dettate solamente da interessi e profitto. Inquinamento atmosferico, luminoso ed acustico in cambio di urbanizzazione selvaggia o, come nel caso dell’aeroporto della Piana o del TAV, di costruzione di grandi opere inutili; allevamenti intensivi dove l’uso massiccio di antibiotici e la cattiva qualità del mangime sono all’ordine del giorno; industrie e raffinerie che rilasciano tossine nell’acqua o nell’aria appestando le zone limitrofe, come nel caso ormai tristemente noto dell’Ilva di taranto. È il momento di pretendere un Sistema Sanitario incisivo nel denunciare che questo modello economico ci sta rendendo più fragili e più malati.